E' stato
arrestato a San Paolo del Brasile, dalla polizia federale, il vicepresidente di
Facebook per l'America Latina,
Diego Dzodan.
Secondo gli agenti, il numero due del social network blu, avrebbe ostacolato l'accesso ad alcuni dati di
WhatsApp, ritenuti importanti nell'ambito di un'indagine criminale.
Nello specifico, le forze dell'ordine hanno agito su mandato disposto da un giudice della città di Lagarto, nello Stato di Sergipe.
L'arresto di
Dzodan è stato dovuto a una "ripetuta non osservanza degli ordini del tribunale" di condividere dei
dati richiesti nell'ambito di un'indagine sul
traffico di stupefacenti, in particolare i messaggi scambiati dai narcos su Whatsapp.
Il magistrato che ha ordinato il fermo, da alcuni mesi aveva chiesto a Facebook di divulgare, ai fini dell'indagine, il nome dei partecipanti di un gruppo di Whatsapp, usato per
scambiare informazioni sullo spaccio di droga. Facebook dal canto suo, si sarebbe rifiutata di fornire le informazioni richieste dal magistrato e già da trenta giorni sta pagando una multa giornaliera di un milione di reais (poco meno di 300mila euro).
Intanto, da
WhatsApp, fanno sapere quanto segue: "Non possiamo fornire informazioni che non abbiamo. Abbiamo cooperato nel pieno delle nostre capacità in questo caso e anche se rispettiamo l'importante ruolo delle forze dell'ordine, siamo fortemente in disaccordo con la loro decisione. Inoltre, WhatsApp e Facebook funzionano in modo indipendente, quindi la decisione di arrestare un dipendente di un'altra società è un passo estremo e ingiustificato. WhatsApp non memorizza i messaggi delle persone. Li trattiene fino a che non vengono consegnati, dopo esistono solo sui dispositivi degli utenti. Nessuno, nè WhatsApp o chiunque altro può intercettare o compromettere i messaggi degli utenti".
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